Itinerario
Necropoli di San Cerbone

Introduzione
Benvenuti nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Populonia era l’ unica città Etrusca costruita sul mare, posizione che contribuì allo sviluppo del porto facendolo diventare un crocevia mediterraneo strategico, un luogo di commerci e traffici marittimi ed uno scalo quasi obbligato per tutte le navi che viaggiavano nel mar Mediterraneo. Populonia si trovava in una posizione strategica, al centro delle rotte commerciali più battute nell’ antichità. Essa era divisa in due nuclei distinti: la città alta, l’ acropoli, con i suoi edifici pubblici e religiosi, cioè il cuore della città antica e la città bassa, centrata intorno al porto e al quartiere industriale dove venivano prodotti i metalli: il rame proveniente dalle miniere del Campigliese e il ferro dell’ Isola d’ Elba. La lavorazione del ferro inizia a Populonia durante la seconda metà del VI secolo a. C. Precedentemente, l’ ematite (ossido di ferro) veniva sicuramente lavorata sull’ isola d’ Elba, non a caso, nell’ antichità, veniva chiamata “la fumosa” a causa dell’enorme quantità di fumo che si sprigionava dai forni. Ad un certo punto però, non fu più possibile produrre ferro sull’ Isola perché gli Etruschi esaurirono tutte le risorse necessarie per produrre combustibile, l’ Elba fu interamente disboscata, quindi, una volta estratta l’ ematite, venne caricata sulle navi e trasportata nel golfo di Baratti ricca di boschi da cui ricavare il carbone da bruciare. Con il passare del tempo, cumuli di scorie ferrose (gli scarti della lavorazione), andarono a ricoprire l’ area del golfo e anche l’ antica necropoli etrusca di San Cerbone. Nell’ antichità, il paesaggio intorno a Populonia non era certamente paradisiaco. Populonia era una città inquinata, avvolta dai fumi dei forni e circondata da un territorio brullo. Le scorie sono ancora visibili, sono tutte le pietre nere che potete vedere nella necropoli e sulla spiaggia di Baratti. Sono visibili anche le tracce luccicanti dell’ ematite. La produzione di ferro continua sicuramente in epoca romana e dopo alcuni secoli, la grande necropoli monumentale etrusca si trova ricoperta da una collina di scorie alta circa 7 metri. Esse erano ancora ricche di ferro, contenevano ancora circa il 60 % di minerale utile, la parte che gli Etruschi non riuscirono ad estrarre. Con il carbone di legna e i mantici azionati manualmente riuscivano a raggiungere circa 1000/1100°C, temperatura alta ma non sufficiente alla fusione. Il ferro fonde a 1536 °C, quindi non si può parlare di fusione ma di riduzione del ferro: Immaginate un’ area vastissima coperta da una spessa coltre di scorie. All’ inizio degli anni 20 del secolo scorso, l’ Italia, appena uscita dalla prima guerra mondiale, necessitava di una grande quantità di ferro e gli ingegneri minerari di quel periodo non credettero ai loro occhi! Nel golfo di Baratti, gli Etruschi lasciarono una vera e propria miniera di ferro a cielo aperto! Inizia così il recupero delle scorie che andrà avanti per circa 40 anni. In questo periodo, ne sono state recuperate due milioni e settecentomila tonnellate ed è proprio durante quest’ attività di recupero che sono tornate alla luce i tumuli monumentali della necropoli rimasti sepolti per secoli. Quindi possiamo dire che la scoperta della Necropoli di San Cerbone è legata al recupero delle scorie.

Il periodo orientalizzante nella cultura etrusca
L’Età Orientalizzante segna un momento di apertura verso la Grecia e verso l'Oriente. Inizia tra la fine del VIII e i primi anni del VII secolo a. C. e durerà fino ai primi decenni del VI secolo a. C. Si assiste quindi, in tutta Etruria e anche a Populonia, ad un fenomeno di importazione e di imitazione di oggetti e motivi decorativi orientali, destinati alle classi dominanti. Quindi le tombe a tumulo che vedrete durante la visita della Necropoli di San Cerbone risalgono proprio all’ Età Orientalizzante. Dallo studio dei ricchissimi corredi ritrovati nelle tombe a tumulo, con tamburo cilindrico, è stato possibile ricostruire le relazioni commerciali che intratteneva Populonia in quel periodo con la Grecia, con Corinto ed Atene, con alcuni centri della Grecia orientale come Rodi e Samo, con i Fenici e con l’ Etruria meridionale. Ricchissimi e preziosissimi corredi tombali ci fanno capire la ricchezza e l’importanza di Populonia nel mondo etrusco: statuette in bronzo, gioielli in oro, armi ed elmi in bronzo, balsamari in ceramica, vasellame e servizi per il banchetto. Accanto a questi oggetti importati da Oriente, si trova anche il bucchero, ceramica nera e lucente, sia di produzione locale che importata dall’Etruria meridionale.

La Tomba dei Carri
La Tomba dei Carri è la tomba più monumentale della Necropoli di San Cerbone. E’ stata scoperta da Antonio Minto nel 1914 e nel 1921 sono stati scavati il dromos e le cellette laterali. E’ una tomba a tumulo che risale al VII secolo a.C. utilizzata fino agli inizi del VI secolo a.C., appartenuta alla famiglia più ricca e potente di Populonia. Con i suoi 28 metri di diametro, è il sepolcro più imponente mai ritrovato a Populonia utilizzato per seppellire generazioni di una stessa dinastia. Deve il suo nome a due carri ritrovati all’ interno durante lo scavo archeologico: un carro da guerra e uno da parata di cui sono state ritrovate le parti metalliche, le ruote e le decorazioni in ferro incise nelle lamine di bronzo che ricoprivano le fiancate del carro. Al momento, i carri sono conservati al Museo Archeologico di Firenze. La loro presenza nel corredo di questa tomba di età orientalizzante testimonia simbolicamente il rango e la potenza di questa famiglia. I carri erano stati deposti nelle cellette che si affacciano sul dròmos, corridoio di accesso, alla camera sepolcrale. Come potete notare, l’ingresso della tomba è piccolo, quindi i carri erano stati smontati e deposti all’interno delle celle. Essi rappresentavano, probabilmente, il mezzo per raggiungere l’aldilà. La tomba è costituita da un tamburo cilindrico chiamato crepìdine. Questo tamburo è stato costruito con blocchi di pietra panchìna estratti dalla vicina cava delle grotte. Intorno al basamento si estende un marciapiede lastricato in calcare alberése inclinato verso l’esterno per consentire lo scolo dell’acqua piovana. All’attacco tra il tamburo e il tumulo, si notano il grundàrium ed il subgrundàrium, una sorta di grondaia costituita da lastre di calcare alberèse che facilitava lo scolo dell’acqua e serviva a proteggere il tamburo dalla erosione. La tomba è coperta da una pseudo cupola formata da lastre di alberese disposte in cerchi concentrici che si restringono progressivamente fino a chiudere la camera. La pseudo cupola è poi coperta da un tumulo di terra circondato alla base da un anello di contenimento in blocchi di pietra panchìna. Accanto alla porta, è ancora visibile il lastrone che in origine chiudeva l’ingresso e che doveva essere spostato per ogni nuova sepoltura. Una volta aperta la porta, percorrendo un corridoio lungo 12 metri, si accede alla camera funeraria che si trova al centro del tumulo. Si tratta di una camera quadrata con i pennacchi ai quattro angoli; sono elementi architettonici di forma triangolare che servono da raccordo tra la base quadrata della camera e la pseudo cupola circolare. All’interno della camera rimangono i resti dei letti funebri dove avveniva la deposizione dei defunti. Erano realizzati con lastroni di pietra infissi nel pavimento ad imitazione dei letti: i klìnai. I piedi degli stessi venivano riprodotti da colonnette di pietra panchìna sagomate, ancora oggi visibili in alcune tombe. I defunti venivano adagiati sui letti di pietra senza cassa né sarcofago. Non venivano né imbalsamati, né mummificati ma semplicemente vestiti e deposti sui letti. Non sappiamo quante persone siano state seppellite in questa camera ma sicuramente più membri di una stessa famiglia. Dopo ogni sepoltura, il corridoio veniva sigillato con un riempimento di pietre e terra per evitare la profanazione della tomba. Purtroppo la camera fu sicuramente saccheggiata dai tombaroli che entrarono dalla pseudo cupola, parzialmente crollata sotto il peso delle scorie. Tra i reperti ritrovati durante gli scavi spiccano un corno in avorio rivestito da lamine d’ oro, una fibula d’ oro, due pendaglietti e lamine dorate, frammenti di uno scudo in bronzo, punte di lancia e un corno musicale.

La tomba delle pissidi cilindriche
La Tomba delle Pissidi Cilindriche è una tomba a tumulo che presenta una variante rispetto alla Tomba dei Carri: si tratta di una tomba ad avancorpo perché il dròmos si protende davanti al tamburo. Questa tomba risale al VII secolo a.C. e, viste le dimensioni più modeste, si può ipotizzare che appartenesse ad una famiglia meno potente della famiglia sepolta nella Tomba dei Carri, ma certamente appartenente all’aristocrazia di Populonia. Il dromos e la camera erano lastricati e all’interno si notano i pennacchi ai quattro angoli, lastre triangolari che permettevano di raccordare la camera quadrata con la pseudo cupola circolare. Sono inoltre presenti i resti di tre letti funebri formati da grossi lastroni di pietra panchina. Anche in questo caso, al momento della scoperta, la pseudo cupola era crollata sotto il peso delle scorie però all’ interno della camera è ben visibile la parte iniziale della copertura con le lastre di calcare alberése disposte in modo aggettante e che andavano a chiudere la copertura della tomba. Il corredo funebre era composto tra l’altro da: spirale d’ oro per capelli, perle di collane d’ambra e di pasta vitrea, fìbule, punte di lancia, lame di pugnali, vasi di bucchero e le due pissidi cilindriche con coperchio che hanno dato il nome alla tomba, esempio di ceramica corinzia, ceramica d’importazione destinata alle classi aristocratiche. Le pìssidi sono generalmente oggetti tipici delle sepolture femminili. Sono piccoli contenitori per gioielli, pinzette, trucchi. La donna etrusca, a differenza di altre civiltà antiche, non era soltanto custode del focolare, ma partecipava attivamente alla vita pubblica, era dotata di nome proprio, era istruita, poteva partecipare ai banchetti conviviali o assistere ai giochi sportivi e agli spettacoli. Quindi godeva di una maggiore considerazione e libertà rispetto ad esempio alla donna greca.
Tomba delle tazze attiche
La Tomba delle Tazze Attiche risale alla metà del VI secolo a. C ed è stata utilizzata fino alla metà del V secolo a.C. E’ una tomba a edicola. La parola edicola deriva dal latino e significa piccolo tempio. La tomba a edicola è una tomba monumentale che va a sostituire la tomba a tumulo con tamburo cilindrico nella seconda metà del VI secolo a. C. e che ripete probabilmente la forma dei contemporanei edifici sacri. Si tratta di una tomba a pianta rettangolare non conservata interamente nell’alzato e costruita con blocchi di pietra panchìna. Il piano della cella è lastricato con una corsia centrale e tre loculi, due laterali e uno sul fondo. La tomba è stata distrutta e sconvolta già in tempi antichi da sepolture successive e dal deposito di scorie ferrose. Nella parte bassa della NecropoIi, detta il Casone, vedrete una tomba a edicola perfettamente conservata. I reperti che danno il nome alla tomba sono due tazze attiche a figure rosse, kylikes (pronunciare Chiùlikes), una con all’ interno un flautista e l’ altra con quella di una figura femminile con una cesta. Si tratta quindi di ceramica d’importazione destinata alla classe dominante. La kylix (pronuncia Kùlix) è una coppa da vino in ceramica, il cui uso, nell'antica Grecia, è attestato a partire dal VI secolo a.C. E’ un oggetto che fa parte del corredo del banchetto. Per gli Etruschi, il banchetto va oltre il concetto di nutrimento, è collegato alla religione ed al culto dei morti. E’ un’occasione per mostrare la ricchezza del defunto. Nelle tombe dipinte di Tarquinia ad esempio sono rappresentate scene di banchetto dove si vedono marito e moglie sdraiati sui letti che stanno mangiando e bevendo vino, servitori, musicisti e danzatori che allietano il banchetto in onore del defunto. Si celebra l’ inizio di una nuova vita nell’Aldilà.

Tomba del Balsamario plastico a testa di guerriero
Si tratta di una piccola tomba a tumulo con tamburo cilindrico risalente alla metà del VII secolo a. C. e danneggiata probabilmente dai mezzi meccanici utilizzati per il recupero delle scorie in epoca moderna. Viste le dimensioni ridotte del tamburo, l’assenza del dròmos di accesso e la pianta circolare della sua cella, questa tomba costituisce un tipo intermedio fra le tombe a tumulo con tamburo e le tombe ad alto tumulo prive di tamburo. Resta visibile solo la corsia centrale della cella. Non rimane più niente della copertura. Tra i reperti ritrovati durante gli scavi, un anello di filo d’ oro, alcune cùspidi di lancia ed un balsamario a forma di elmo di guerriero di produzione greco orientale che è stato rubato dalla collezione Gasparri di Populonia nel 1971.

Tomba dell’Aryballos Piriforme
La Tomba dell’ Arýballos Piriforme è un altro esempio di tomba a tumulo con tamburo cilindrico risalente alla metà del VII secolo a. C., molto simile nella struttura alla Tomba dei Carri. Presenta un marciapiede pavimentato con lastre di calcare alberese leggermente inclinato verso l’ esterno per facilitare lo scolo dell’ acqua piovana. La camera funeraria è a pianta quadrata e si vedono ancora i piedi dei letti sagomati sopra i quali avveniva la deposizione dei defunti. Sappiamo che nel periodo di uso delle tombe a tumulo, l’ inumazione era il rito più diffuso, ma sappiamo che il rito dell’ incinerazione non scompare del tutto e quindi in alcune tombe sono attestati entrambi i riti. La tomba è stata ritrovata già saccheggiata e con la pseudo cupola franata. Il nome di questa tomba deriva da un piccolo vaso per profumi chiamato Arýballos in greco, conservato a Piombino presso il Museo Archeologico del Territorio di Populonia. Quest’Arýballos è un esempio di ceramica etrusco- corinzia, ceramica prodotta in Etruria ad imitazione della ceramica greca. Attorno alla tomba, negli anni in cui la necropoli era già in parte coperta da scorie, avvennero nuove sepolture. Umili sepolcri furono scavati direttamente nel tumulo della tomba ormai quasi interamente coperta dai detriti. Potete vedere una di queste tombe nella parte posteriore del tumulo.

La tomba dei colatoi
La Tomba dei Colatoi è una tomba a pseudo cupola senza tamburo con il tumulo di terra impostato sullo stesso livello della camera funeraria. E’ una tomba detta ad alto tumulo. Risale alla fine del VII secolo a. C. ed è stata utilizzata fino alla fine del IV secolo a. C. Questa piccola tomba è molto importante perché è l’ unico tumulo che non è franato sotto il peso delle scorie ed è l’ unica tomba della necropoli che non è stata saccheggiata. E’ stata scoperta nel 1960 ancora intatta. All’ esterno è ancora visibile il lastrone di chiusura della camera e il piccolo dròmos privo di copertura. La cella quadrata presenta due loculi laterali delimitati da lastre di alberese messe di taglio ed una corsia centrale. Nella camera furono rinvenuti tre scheletri, due nel loculo di sinistra ed uno nel loculo di destra. La maggior parte degli oggetti del corredo è stata ritrovata nella corsia centrale. Il corredo era molto ricco perché non depredato. È stato rinvenuto un vaso porta profumi etrusco corinzio (arýballos), un fuso che indicava una sepoltura femminile, due spiedi in ferro utilizzati per cuocere la carne, numerosi vasetti etrusco corinzi e corinzi, una coppa attica a vernice nera e due colatoi in bronzo che hanno dato il nome alla tomba. I colatoi venivano utilizzati per filtrare il vino. Il vino etrusco era un vino molto denso che veniva mescolato con acqua all’ interno di un grande contenitore in ceramica chiamato cratere e aromatizzato con l’ aggiunta di frutta, miele e spezie e che quindi necessitava di essere filtrato con l’ uso di colatoi. Il vino ha sempre rivestito un ruolo importante per gli Etruschi. I rituali legati ad esso erano presenti nelle celebrazioni religiose in particolare in quelle funebri. Tra le divinità più importanti nella religione etrusca vi era Fùfluns, il Diòniso dei Greci. Le cerimonie religiose in onore di Fùfluns prevedevano un largo consumo di vino. Plinio il vecchio racconta che a Populonia era conservata una statua di Giove intagliata in legno di vite. Anche l’ antico nome della città Puplùna forse deriva da Fùfluns.

Le tombe a cassone
In questa parte della necropoli detta del Casòne, potete vedere numerose tombe a cassone. Sono tombe che risalgono alla metà del VI secolo a.C. utilizzate fino alla fine del III secolo a. C. Sono tombe individuali destinate probabilmente ad un ceto medio della popolazione , mentre la gente più umile veniva seppellita in fosse. Le tombe a cassone sono costituite da lastroni di pietra panchìna che formano una sorta di vero e proprio sarcofago. In alcuni casi, il sarcofago è ricavato da grossi blocchi scavati al loro interno. Alcuni coperchi riproducono tetti spioventi. A Populonia non sono mai stati trovati sarcofagi all’ interno delle tombe a tumulo. I sarcofagi che vedete oggi sono esattamente nella stessa posizione in cui erano in età antica, quindi un etrusco che passeggiava per la necropoli vedeva le tombe a cassone; non erano coperte o nascoste. Uno di questi sarcofagi però si distingue dagli altri. E’ l’ unico costruito con una pietra diversa, una pietra molto più scura chiamata nenfro, una roccia vulcanica proveniente da Vulci. Forse la persona seppellita in quel cassone era originaria di Vulci e trasferita a Populonia? Non lo sappiamo. Il coperchio di quella tomba a cassone presenta ancora le tracce del sigillo in piombo che serviva a saldare il coperchio alla cassa. Le tombe della piccola necropoli del Casòne sono allineate e in quest’area si può leggere ancora l’organizzazione spaziale della Necropoli, in particolare si percepisce la presenza di due strade lungo cui sono state costruite le tombe a cassone che vanno a confluire verso la elegante Tomba a edicola del bronzetto di Offerente.

Tomba del bronzetto di Offerente
La Tomba del Bronzetto di Offerente è l’ unica tomba a edicola interamente conservata. La tomba a edicola è stata introdotta a Populonia verso il 560-550 a. C. e rappresenta un vero e proprio tempio funebre. Come le più antiche tombe a tumulo, anche le tombe a edicola erano destinate alle classi aristocratiche. Questa tomba e’ stata scoperta nel 1957 durante i lavori di recupero delle scorie . All’epoca, infatti, era ancora coperta da circa 7 metri di scorie. La sua costruzione risale alla fine del VI secolo a. C. ed è stata utilizzata fino alla prima metà del V secolo a.C. Riuscite a vedere l’ intera struttura: il basamento è formato da un filare di blocchi di pietra panchìna e sopra questo filare, si elevano i muri costruiti anch’essi con blocchi di pietra panchìna murati a secco. Per consolidare la struttura, dei pali di legno venivano inseriti all’ interno dei blocchi come potete vedere nei basamenti di alcune tombe a edicola che presentano alloggiamenti cilindrici all’ interno della muratura. L’ ingresso della tomba è rettangolare e il tetto a doppio spiovente. E’ visibile un doppio ordine di lastre di panchìna: quattro lastroni più grandi costituiscono il soffitto mentre, lastre più piccole disegnano la sagoma esterna della copertura. Nella camera a pianta quadrata sono state trovate le lastre dei letti funebri ed una piccola urna. Una volta liberata la tomba dalle scorie, è iniziato lo scavo archeologico e tutt’intorno alla tomba sono stati ritrovati numerosi frammenti delle sculture in pietra che originariamente dovevano decorare il tetto della tomba. Si tratta di frammenti di acrotèri e di animali fantastici. Gli scheletri furono probabilmente trasferiti dagli antichi profanatori nelle tombe a cassone che si trovano vicino alla Tomba del Bronzetto di Offerente. Tra gli oggetti del corredo, sono stati ritrovati alcune fibule d’ oro, un pendaglio d’ ambra a testa di ariete, una corniola incisa e una statuetta maschile che ha dato il nome alla tomba. Al momento della scoperta, gli archeologi pensarono che questo bronzetto rappresentasse un uomo nell’atto di fare un’ offerta ad una divinità, da cui il nome di bronzetto di offerente. In realtà questo bronzetto rappresenta molto probabilmente un atleta, in particolare, si pensa ad un discobolo. Questa statuetta ornava un candelabro. Il corredo di questa tomba è conservato a Piombino presso il Museo Archeologico del Territorio di Populonia .

Tomba dei letti funebri
La Tomba dei Letti Funebri è stata la prima tomba della necropoli di San Cerbone ad essere scoperta nel 1897 da Isidoro Falchi durante la prima campagna di scavo. Isidoro Falchi era il medico archeologo che scoprì Vetulonia e che fece alcune ricerche a Populonia nella necropoli di San Cerbone. Purtroppo, a causa di aspri contrasti con il proprietario dei terreni, il conte Curzio Desideri, la ricerca non andò avanti. Più tardi, quando ripresero gli scavi, furono scoperti i piedi sagomati dei letti funebri sui quali erano appoggiati i corpi dei defunti, che hanno dato il nome alla tomba. La Tomba dei Letti Funebri è una tomba a tumulo con tamburo cilindrico costruita nel VII secolo a. C. e utilizzata fino alla metà del VI secolo a. C. E’ stata gravemente danneggiata dal peso delle scorie ferrose ed è priva della copertura. Lungo il dròmos, si aprono due cellette laterali che dovevano essere chiuse da grossi lastroni di pietra panchina e dove probabilmente era stata deposta parte del corredo funebre. Purtroppo la tomba è stata quasi interamente saccheggiata. L’ unico ritrovamento è un orecchino d’ oro a bauletto filigranato. La camera funeraria è a pianta quadrata con corsia centrale e conserva alcuni letti funebri di dimensioni diverse. All’ esterno sono ancora visibili quattro tombe a cassone di epoca successiva VI/V secolo a. C. Vicino a questo tumulo è stato trovato un raffinato bronzetto databile tra il 500 e il 480 a. C. raffigurante l’ eroe greco Aiace nel momento del suo suicidio.